Fulvio Grimaldi: “Morti uno a uno, tra l’Italia peggiore e l’Italia migliore”

Fulvio Grimaldi – 23/09/2023

 

Nel giro di pochi giorni se ne sono andati, uno di sistema e uno antisistema. E di quest’ultimo, un amico, mi dispiace. Del primo, antiticipatore domestico del Grande Reset e vessillifero del degrado istituzionale, costituzionale, giuridico e politico del nostro paese, direi sic transit infamia mundi (e mi chiedo se il vilipendio vale anche per la salma). Del secondo, che abbiamo perso uno di quegli italiani che ci ricordano, pagando alti costi, che siamo ancora l’Italia di Dante, Giordano Bruno, Leopardi, Vico, Mazzini e Calvino.

Si chiamavano Giorgio Napolitano, come tutti i morti in Italia “santo subito”, sia degni, sia malfattori, insignificanti, purchè conformi, e Gianni Vattimo, filosofo e combattente dalla parte dei giusti.

Togliamoci per prima cosa il fastidio. Giorgio Napolitano, due volte presidente della Repubblica, come la Costituzione non aveva previsto e non si era mai osato fare. Una presidenza segnata da ogni sorta di interferenza, abuso, prevaricazione, ombra nera sui rapporti tra Stato e antistato. Con una pesantissima eredità che, agli stessi vertici, si perpetua e minaccia di ossificarsi in un paese che di democratico, del resto, ha vissuto pochi intervalli tra le costrizioni autoritarie e malavitose impostegli dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale, occupanti e poi padroni.

Dopo le vittime della lotta alla criminalità organizzata e ai suoi cronici intrecci con quanto avrebbe dovuto rappresentare bisogni, interessi e volontà dei cittadini onesti (Ingroia, De Magistris, Robledo, Woodcock, Di Matteo, Forleo….); dopo l’obiezione di coscienza all’incontrario alla guerra alla Libia, con annesso linciaggio di un paese e di un capo di Stato amici; dopo le manipolazioni quirinalesche degli assetti politici a scapito della trasparenza e dei reali rapporti di forza e a beneficio delle “larghe intese” di sapore euro-atlantiste; dopo l’imposizione dell’obliterazione delle intercettazioni macchiate di concorso esterno; dopo il rifiuto di rispondere a Di Matteo sui rapporti Stato-mafia… cosa ci rimane del virgulto di Togliatti e del “comunista preferito” da Henry Kissinger” quando, primo comunista a mettere piede negli USA, fece il viaggio di sottomissione di prammatica a Washington e poi omaggiò, da colleguzzo a collegone, il più sanguinario dei presidenti statunitensi, Barack Obama?

Rimane nulla di quanto gioverebbe agli annali delle virtù della nostra Storia. Rimane la svolta dalla democrazia all’intrigo finalizzato alla prepotenza dei molti sui tanti, dei cinici sugli onesti.

Poi, fatto un giro di 180° ecco che abbiamo perso – e qui il verbo è quello giusto – Gianni Vattimo, filosofo da Torino, combattente nella trincea dei deboli, poveri, esclusi, maltrattati dalla risma di coloro che oggi celebrano con incensi, allori e complice gratitudine, quell’altro morto. E mio amico, tanto da avermi regalato la prefazione al libro di cui vedete la copertina: “Mamma, ho perso la Sinistra!”.

Cattolico, di quelli con cui anche un mangiapreti sta bene ed è d’accordo sull’essenziale. Comunista di quelli liberi, non togliattiani, tanto meno napolitaniani, tanto meno staliniani, o berlingueriani (”Preferisco stare sotto la NATO”…). Libero, di quelli che certi comunisti hanno sempre visto con malcelata insofferenza. Più sessantottino che organico.

Ero amico di Umberto Eco, con il quale lavoravamo per un grande editore, Valentino Bompiani, lui caporedattore, io ufficio stampa. Insieme lanciammo un altro amico e grande scrittore, Luciano Bianciardi (“La vita agra”). Di Eco era amico anche Vattimo, ma da lui ho dissentito quando pose “Il pendolo di Foucault”, per me un’operazione di sostegno al Grande Imbroglio dei Poteri, tra le migliori opere del secolo.

Ricordo, tra le tante militanze in cui ci incrociavamo, quella contro lo sventramento, a fini speculativi e repressivi, della Valsusa con il TAV. Una lunga serata a Bussoleno, nel “covo” di Nicoletta Dosio e dei suoi partigiani, a discutere di tattiche di resistenza. Da Schopenhauer e Nietzsche, ma anche da Heidegger, alle barricate: nobile uomo.

A lui nel paese dei morti “santi subito”, pochi hanno reso le onoranze funebre. Con questo costrutto politico-mediatico, Vattimo ci azzeccava niente. Tra i pochi che ne hanno detto il giusto, ho trovato Marco Rizzo e, qualcosina, nel Fatto Quotidiano.

Quanto a me, lo l’ho biecamente sfruttato per ricordarvi un mio libro, da lui onorato con la prefazione. Il cui editore, peraltro, non c’è più. E’ arrivato dove ora sta Gianni, prima di lui.

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