Dopo le amministrative

Eravamo preparati a una disputa su come sono andate le elezioni amministrative del 12 giugno e invece, non casualmente, i commenti della stampa e dei media che fanno opinione hanno preso un’altra direzione. Certo, rimane il fatto che i risultati di Genova, di Palermo e dell’Aquila hanno dimostrato la tenuta della destra, mentre il PD si è consolato con altri risultati anche se di portata minore. Ma i commenti di chi fa opinione e indirizza le scelte politiche hanno evidenziato altre questioni.

L’argomento del giorno non è infatti quanti comuni sono stati conquistati dagli uni o dagli altri, bensì quanti voti hanno conquistato Meloni e Letta. Su questo, non a caso, hanno insistito le veline di regime. Su Letta, nonostante i risultati scadenti del PD si è detto che ormai è il primo partito in Italia, ignorando che quello che decide sulle elezioni è il voto della coalizione e non del partito. Sulla Meloni si è sottolineato che sta vincendo la competizione interna al centrodestra e ne diventa il punto di riferimento. Come mai è partita questa esaltazione di un risultato elettorale che premierebbe la Meloni e Letta e che invece si presenta assai più articolato?

Risulta evidente, innanzitutto, che Letta e Meloni sono i più coerenti rappresentanti dei partiti della guerra e della massima fedeltà ai padroni di oltreatlantico e la loro sponsorizzazione viene da lontano. Per tenere assieme il blocco imperialista occidentale, gli Stati Uniti e gli atlantisti europei ritengono oggi necessario che in Italia ci sia un asse solido sulla questione geopolitica, mentre leader come Salvini e Conte non danno sufficienti garanzie. C’è bisogno quindi di due partiti, al governo o all’opposizione, che dirigano l’orchestra della fedeltà atlantica.

Già prima delle elezioni era evidente, aldilà delle scaramucce quotidiane, che era ormai in atto un’operazione di ricomposizione atlantista del quadro politico italiano. Draghi, nonostante l’impegno personale, non poteva andare oltre la gestione dell’emergenza. Ora si richiede una ridefinizione delle forze in campo e il consolidamento di quelli che dovranno essere i bastioni della nuova strategia, per non correre rischi. La base di questa operazione, per chi tira le fila, sta nel garantirsi un riferimento solido nei due schieramenti che gestiranno l’alternanza e i commenti sulle elezioni amministrative del 12 giugno vanno proprio in quella direzione. Per questo si insiste sul fatto che Letta ha vinto e che il PD è il primo partito, e lo stesso vale per la Meloni nel polo di destra.

Che Letta sia il punto avanzato dello schieramento liberista e atlantista non vi è dubbio, sin da quando ha preso il posto di Zingaretti. Ma per la Meloni come la mettiamo col suo ‘patriottismo’ e la sua polemica anti-europeista?

Per capire l’evoluzione di Fratelli d’Italia, e chi sta manovrando dietro le quinte, il fatto dirimente è stata la dichiarazione che per parlare di patria bisogna prima essere fedeli al blocco atlantico a guida americana. Questa è la garanzia per gli americani che la Meloni è entrata, senza se e senza ma, nello schieramento di cui la NATO è la guida. Questa è la condizione per essere un partito destinato a governare l’Italia.

Questa è dunque la novità politica del momento, a cui da ora in poi ci dovremo abituare. Se ci saranno sussulti salviniani o di Conte lo vedremo, ma ormai i poteri che contano marciano nella direzione indicata e il famoso ‘campo largo’ sia a destra che a sinistra dovrà essere costruito secondo quella logica.

In questo scenario domandiamoci perciò quali saranno le condizioni politiche in cui dovranno muoversi quelli che, consapevolmente o istintivamente, hanno maturato un’opposizione al partito della guerra e della crisi economica, partito che va oltre Draghi e consegna al PD e a FdI un ruolo strategico.

La riflessione su questo ci porta innanzitutto a mettere in chiaro che il PD non ha nulla a che fare con il concetto di sinistra per cui coloro che si definiscono di sinistra e civettano con il ‘campo largo’ di Letta non rappresentano altro che una sua foglia di fico. E’ vero che a schiarirci ancora di più le idee ci pensa Calenda che sta lì a richiamare alla compattezza del campo liberista anche rispetto alle alleanze, liquidando le incertezze in proposito di Letta. Ma il pericolo non viene tanto da quella Sinistra italiana e contorni il cui ruolo è ben chiaro da tempo, quanto da quei settori parassitari di un’altra sinistra che sperano sempre che arrivi la manna dei voti di chi non sta al gioco.

Vincere la partita senza giocarla però è molto improbabile. La situazione si presenta in maniera più complessa se si vanno ad esaminare non solo i voti su cui si giudica chi ha vinto e chi ha perso, ma il livello delle astensioni, che ha superato, come a Genova e Palermo, il 50%. Allora si capirà che l’analisi di quella che viene definita ‘disaffezione’ al voto mette in luce qualcosa di più strutturale e profondo. Se l’attuale realtà politica e sociale non si mette in moto la situazione non potrà cambiare e i partiti della guerra potranno portare avanti con successo le loro strategie. Il virtualismo delle iniziative politiche o l’elaborazione solo di piattaforme alternative non saranno in grado di cambiare granchè. Per riuscire nell’intento ci vuole credibilità per superare lo scetticismo astensionista. La vittoria va costruita sul campo unificando l’avversione ai partiti della guerra e della crisi economica che si manifesta nel paese.

Aginform
15 giugno 2022

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