Il 15 ottobre del 1987 veniva assassinato Thomas Sankara

Alessandro Di Battista – 15/10/2025

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Venne ucciso durante un colpo di Stato organizzato dal suo braccio destro Blaise Compaoré con il sostegno di USA e Francia.

Il 15 ottobre del 1987 Thomas Sankara, Presidente del Burkina Faso dall’agosto dell’83 fino al giorno della sua morte, veniva assassinato a Ouagadougou, capitale del Paese. Venne ucciso durante un colpo di Stato organizzato dal suo braccio destro Blaise Compaoré con il sostegno di USA e Francia.

Thomas Sankara era il Che Guevara d’Africa e venne assassinato perché cercava di rendere il Burkina Faso un paese autonomo, sovrano e non suddito del neocolonialismo.

Negli anni in cui fu Presidente del Burkina Faso (fu proprio lui a ribattezzare l’Alto Volta “Burkina Faso”, ovvero “Terra degli uomini integri”) Sankara tagliò privilegi e stipendi pubblici a cominciare da quelli dei politici e con il denaro risparmiato finanziò campagne di vaccinazione contro la poliomielite e la meningite. Inoltre investì tutto quel che aveva nelle casse dello Stato nella costruzione di pozzi, riducendo la mortalità infantile (in Africa subsahariana una delle principali cause di morte per i bambini sotto i 5 anni è la diarrea legata all’acqua contaminata), nell’edilizia popolare e nella sanità di base. Ma non è tutto. Sankara rifiutò il peloso assistenzialismo finanziario occidentale reputandolo una moderna forma di colonizzazione. Poi denunciò il controllo francese dei principali asset del Paese e si rifiutò di pagare il debito con i Paesi coloniali ritenendolo ingiusto. Divenne Presidente di un paese alla fame. Un Paese dilaniato dai colpi di Stato, assetato dalla desertificazione, costretto alla monocoltura del cotone dalle imposizioni coloniali, con un tasso di alfabetizzazione del 2%, una mortalità infantile spaventosa e un’aspettativa di vita di poco più di 40 anni e un medico ogni 50.000 abitanti. Sankara in pochi anni iniziò a cambiare il Paese. Infine iniziò a tessere una rete internazionale preoccupante per le cancellerie europee e per Washington. Incontrò Fidel Castro, viaggiò a Mosca, si schierò apertamente contro l’apartheid in Sudafrica e a favore della causa palestinese.

Nel 1986, alcuni mesi prima di essere ammazzato, pronunciò queste parole durante il Vertice del Movimento dei Paesi non allineati: “La causa del popolo palestinese è la nostra causa. Come africani, sappiamo cosa significa essere strappati dalla nostra terra. Sappiamo cosa significa vedere il nostro destino deciso altrove, su mappe tracciate da mani che non conoscono la nostra lingua né il nostro dolore. E vediamo con chiarezza ciò che accade in Palestina: un popolo colonizzato, spinto all’esilio, trattato come straniero nella propria patria. Un popolo che resiste da decenni con dignità, contro una macchina di occupazione che si nutre di paura, di razzismo e di alleanze sporche. Chi si dice amico della libertà, ma resta in silenzio di fronte all’oppressione del popolo palestinese, è un complice. Chi si lava le mani davanti all’apartheid non è neutrale, è schierato dalla parte dell’oppressore”.

Il 29 luglio del 1987 ad Addis Abeba, in Etiopia, durante un vertice dell’Organizzazione dell’unità africana disse«Il debito è ancora il neocolonialismo con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici. Anzi, dovremmo invece dire “assassini tecnici”. Sono loro che ci hanno proposto i canali di finanziamento dei finanziatori. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più. Il debito, nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso».

Oggi chi ha il coraggio di parlare così? Quale politico ha il coraggio di menzionare il concetto di “schiavo finanziario”? Eppure la schiavitù finanziaria è dannatamente attuale sia in Africa che in Europa, basti vedere chi sono i principali azionisti delle fabbriche di armi che sognano di arricchirsi grazie ai piani di riarmo decisi dall’Unione europea.

Fu proprio questo discorso sul debito a condurlo alla morte. Stava toccando il potere finanziario e il potere finanziario è come i fili elettrici. Se lo tocchi, muori.

In Europa si parlò poco o nulla dell’assassinio di Sankara. Eppure erano chiari i motivi per i quali venne ucciso. Sankara minacciava lo strapotere della finanza, i trafficanti di armi, minacciava l’imperialismo monetario e la falsa solidarietà che nasconde il paternalismo colonialista. Sankara aveva compreso che i nuovi schiavi sarebbero stati gli schiavi finanziari e che le catene della grande finanza, meno visibili ma non meno stringenti, sarebbe stato molto più difficile spezzarle una volta poste. Sankara chiedeva a gran voce una maggiore rappresentanza africana in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU denunciando la vergogna dei membri permanenti con diritto di veto.

«Proponiamo anche di rivedere tutta la struttura delle Nazioni Unite per porre fine allo scandalo costituito dal diritto di veto. È vero che certi effetti più diabolici del suo abuso sono stati controbilanciati dalla vigilanza di alcuni fra gli Stati che detengono il veto. Tuttavia, nulla può giustificare un tale diritto, né le dimensioni di un Paese né la sua ricchezza» disse al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite.

Ancora oggi 5 membri permanenti (USA, Cina, Russia, Gran Bretagna e Francia) detengono il potere di veto e lo utilizzano a loro piacimento, come fatto dagli USA negli ultimi 2 anni per favorire il genocidio in Palestina.

«L’Africa agli africani» ripeteva in continuazione Sankara. E ancora: «consumate burkinabè». Non era un autarchico, credeva nel commercio internazionale, credeva nelle Nazioni Unite, nelle relazioni internazionali, negli scambi commerciali. Allo stesso tempo credeva nella sovranità africana: una sovranità politica, economica, energetica, alimentare e produttiva.

«Dobbiamo far capire a tutti che i mercati in Africa sono i mercati degli africani. Dobbiamo produrre in Africa. Trasformare le nostre materie prime in Africa e consumare in Africa. Dobbiamo produrre ciò di cui abbiamo bisogno e consumare ciò che produciamo. Siamo qui oggi per mostrarvi la nostra produzione di cotone tutto prodotto in Burkina, tessuto in Burkina, confezionato in Burkina, per vestire la nostra gente. La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti con il nostro cotone, tessuto dai nostri compatrioti, non c’è un solo filo che proviene dall’Europa o dall’America» disse in uno dei suoi discorsi più celebri.

Se Sankara oggi fosse vivo verrebbe tacciato di populismo, di irresponsabilità. Verrebbe accusato di non capire la complessità della politica internazionale. Oppure, dato il suo totale sostegno alla causa palestinese, verrebbe silenziato. «Parlo con indignazione a nome dei palestinesi, che un’umanità disumana ha scelto di sostituire con un altro popolo, solo ieri martirizzato» disse Sankara in un discorso del 1984.

Mentre Sankara non voleva importare neppure un filo di cotone straniero in Burkina Faso, la sinistra al caviale nostrana insiste sulla necessità di importare manodopera africana in Italia.

«I nostri giovani sono pochi, dobbiamo accogliere più migranti» disse alcuni anni fa Enrico Letta da Segretario del PD. E ancora oggi provano a convincerci che i flussi migratori siano buoni per noi perché gli africani versano nelle casse dell’Italia molti più contributi di quelli che poi saranno capaci di riottenere con le pensioni. In pratica si sostiene che sia giusto “sfruttare” il lavoro degli africani qui in Italia.

Ci arricchiscono insomma, perché questi poveracci lavorano, versano contributi, poi tornano in Africa e gran parte di quello che hanno versato resta in Italia.

Nel 2017 il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato un dossier dal titolo “L’impatto della migrazione sui livelli di reddito delle economie avanzate” nel quale si sostiene che un aumento dell’1% del numero di lavoratori immigrati corrisponde a una crescita del 2% del Pil del Paese che li accoglie. Insomma i migranti ci arricchiscono. Fanno lavori che non siamo più disposti a fare anche perché si accontentano di salari più bassi. Versano contributi a fondo perduto. Fanno crescere il nostro Pil e Dio solo sa quanto questo conti negli uffici tecnici di Bruxelles. I migranti coprono la domanda di manodopera. I migranti ci aiutano a crescere i nostri figli.

Tuttavia, come sostiene Maurizio Pallante nel libro Il diritto di non emigrare, “se col loro lavoro gli immigrati fanno crescere il Pil dei Paesi ricchi in cui si trasferiscono, non contribuiscono a farlo crescere nei Paesi poveri in cui sono nati”.

L’accoglienza interessata altro non è che l’altra faccia dello sfruttamento. L’utilità dei migranti per le esigenze occidentali (in particolare quelle della grande industria) prende il posto dei diritti degli africani, in primis quello di prosperare a casa loro, di aumentare il Pil dei loro Paesi, di lavorare per la crescita socio-economica delle loro comunità o di crescere i loro figli, non quelli degli altri. L’accoglienza interessata non ha nulla a che vedere con la tanto sbandierata solidarietà. L’accoglienza interessata è puro imperialismo mascherato da magnanimità. L’accoglienza interessata interessa all’uomo bianco, eterno protagonista delle vicende africane. L’uomo bianco toglie (ricchezze, risorse, democrazia, sovranità, indipendenza) e l’uomo bianco dà, o meglio finge di dare, in quanto utilizza le fughe africane per il proprio sviluppo.

L’Africa agli africani urlava Sankara. Per questo e per molto altro i cosiddetti buoni, quelli che dicono di difendere la democrazia, hanno armato i suoi assassini.

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