Morte Shinzō Abe: aveva criticato Zelens’kyj, “figura controversa” per la Cina

Il mondo della politica internazionale è stato colpito dalla notizia dell’assassinio di Shinzō Abe, il primo ministro più longevo nella storia del Giappone e secondo molti ancora l’uomo più influente del Paese.

Il sessantasettenne Shinzō Abe, a lungo primo ministro del Giappone, è morto ieri in seguito alle ferite riportate in un attentato ordito contro di lui a Nara, mentre l’ex leader del Partito Liberal Democratico (Jiyū-Minshutō, abbreviato in Jimintō) stava svolgendo un comizio elettorale in vista delle elezioni di domenica 10 luglio. La notizia ha sconvolto il mondo della politica internazionale, e messaggi di cordoglio sono stati inviati da tutti i leader del pianeta.

Dopo un anno al governo tra il settembre del 2006 ed il settembre del 2007, Abe era diventato il vero numero uno della politica nipponica quando ottenne nuovamente l’incarico di primo ministro nel dicembre 2012, mantenendolo ininterrottamente fino al settembre 2020, quando ha rassegnato le dimissioni a causa di problemi di salute, sostituito da Yoshihide Suga. Secondo molti, tuttavia, Abe ha mantenuto una forte influenza sulla politica giapponese, fino ad essere considerato come l’eminenza grigia del Jimintō e del governo.

David E. Sanger, a lungo corrispondente del New York Times a Tokyo, ha scritto sul quotidiano statunitense che Abe è stato “forse il politico più rivoluzionario nella storia del Giappone del secondo dopoguerra, anche se ha parlato nei termini esasperabilmente insipidi che i politici giapponesi considerano un’abilità di sopravvivenza”. Abe è stato in particolare un grande sostenitore del riarmo del Giappone, vietato dalla Costituzione imposta dagli Stati Uniti al termine della seconda guerra mondiale. Pur non riuscendo a modificare la carta fondamentale, come avrebbe voluto, ha trovato il modo per aggirare alcune limitazioni con la compiacenza di Washington, che gli ha concesso un riarmo parziale considerandolo come un utile argine allo sviluppo militare e marittimo della Cina.

Lo stesso Sanger sottolinea come Abe non abbia cessato di influenzare la politica giapponese dopo la fine del suo mandato. L’ex primo ministro, in seguito all’inizio dell’operazione militare speciale russa in Ucraina, ha sostenuto le sanzioni antirusse e proposto addirittura una sorta di accordo di condivisione nucleare con gli Stati Uniti, attirandosi non poche critiche anche all’interno del suo stesso partito. Ma Abe ha anche criticato il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, come riportato in un’intervista rilasciata a The Economist.

Nell’intervista alla nota testata britannica, Abe ha rilasciato dichiarazioni importanti che smentiscono la narrazione dominante dei media occidentali, nonostante l’ex primo ministro non fosse certo un filorusso: “Prima dell’invasione, quando avevano circondato l’Ucraina, sarebbe stato possibile evitare la guerra se Zelens’kyj fosse stato in grado di promettere che il suo Paese non sarebbe entrato nella NATO o fosse stato disposto a concedere un elevato grado di autonomia alle due enclavi dell’est”, aveva detto, riferendosi ai due oblast’ del Donbass. Pur sostenendo l’Ucraina, Abe aveva anche ammesso che Vladimir Putin non è una persona irrazionale, ma “un realista”, come a sottolineare che il presidente russo è arrivato ad una soluzione estrema non senza motivi.

La figura di Shinzō Abe resterà comunque fortemente controversa sia in patria che all’estero, come sottolineato anche da un editoriale della testata cinese Global Times: “Per l’opinione pubblica cinese, Abe era una figura politica controversa: aveva migliorato le relazioni del Giappone con la Cina, segnate da due viaggi di disgelo durante il suo secondo mandato nel 2013 e 2018, ma le sue osservazioni e azioni, comprese le frequenti visite al famigerato santuario Yasukuni, un memoriale che onora i caduti in guerra del Giappone, compresi i criminali di guerra”.

Il santuario Yasukuni, infatti, è un memoriale che onora i caduti di guerra giapponesi, compresi quelli che si sono resi protagonisti di azioni efferate nel corso delle invasioni della Corea e della Manciuria, nonché nella seconda guerra mondiale. Abe credeva che il Giappone si fosse scusato abbastanza per i suoi crimini di guerra, e nel 2013 ha svolto la controversa visita al santuario, un vero e proprio ritrovo dell’estrema destra nipponica. Tra i commemorati del santuario rientra anche il nonno di Abe, accusato di crimini di guerra prima di diventare primo ministro alla fine degli anni ’50.

“Abe, quando era in carica, ha dovuto tenere in considerazione i legami con la Cina, in particolare l’aspetto economico, perché ciò avrebbe portato benefici al Giappone. Non importa quale scopo avesse, i contributi che ha dato ai legami Cina-Giappone sono stati ricordati”, ha detto Lü Chao, direttore dell’Istituto di Studi sulle Relazioni USA-Asia Orientale presso l’Università di Liaoning. Tuttavia, Abe non ha mai esplicitamente riconosciuto i crimini di guerra del Giappone, e si è reso protagonista di ingerenze sulla questione di Taiwan, il che lo rende inviso a molti cinesi.

“Sebbene Abe sia stato il primo ministro più longevo in Giappone, ci sono opinioni contrastanti su Abe in Giappone, e le opinioni pubbliche anti-Abe sono sempre esistite, inclusi l’insoddisfazione per il crescente divario tra ricchi e poveri causato dalla Abenomics (la politica economica di Abe, ndr) e il disgusto per le sue politiche militari e di sicurezza”, ha detto Xiang Haoyu, ricercatore presso il China Institute of International Studies.

Secondo molti analisti internazionali, la morte di Abe a due giorni dalle elezioni per la Camera dei Consiglieri potrebbe favorire proprio la destra e il Jimintō. Inoltre, la morte di Abe potrebbe stimolare l’estrema destra giapponese a promuovere obiettivi politici populisti, xenofobi ed estremisti.

Giulio Chinappi

09/07/2022

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