Che cosa sono gli accordi di Minsk di cui tutti parlano?

Paolo Cornetti – 22/02/2022

Che cosa sono gli accordi di Minsk di cui tutti parlano? | La Fionda

 

Riprendiamo questo articolo di Paolo Cornetti pubblicato quasi un anno fa su La Fionda nel quale si spiega in maniera chiara il contenuto degli “Accordi di Mink”. Buona lettura

In questi giorni di guerra e di aumento della tensione internazionale in molti, tra giornalisti, politici e analisti hanno parlato più volte degli “Accordi di Minsk”. Le stesse forze in campo si sono accusate di averli violati ripetutamente negli anni, fino ad arrivare alle recenti dichiarazioni di Putin che li ha dati per nulli a causa della non volontà del Governo ucraino di Zelensky di rispettarli.

Essendo la loro inefficacia considerata come uno dei casus belli che hanno portato all’attacco russo in Ucraina è importante riportare alla memoria il contesto che ha portato alla loro firma, nonché il loro contenuto.

Che cosa sono gli accordi di Minsk di cui tutti parlano?
Mappa demografica dell’Ucraina da Forbes.com

Il 21 novembre 2013 iniziarono le proteste a Kiev contro il governo di Yanukovych note come “Euromaidan”, dopo che il Presidente decise di intraprendere maggiori scambi commerciali con la Russia sospendendo alcuni accordi con l’Unione Europea. Le proteste divennero sempre più violente, con la partecipazione anche di battaglioni paramilitari che si scontrarono con le forze governative, e infine portarono il Parlamento ucraino a destituire il Presidente stesso (22 febbraio 2014). Gli eventi che ne susseguirono furono la nota annessione della Crimea alla Russia e l’inizio delle rivolte in Donbass, che precedettero la salita al potere di Poroshenko del Partito Solidarietà Europea (centro-destra). Le elezioni ucraine si tennero il 25 maggio in una situazione di completo caos nel paese, infatti il 16 marzo la Crimea con un referendum vinto dai separatisti con il 97% proclamò la sua indipendenza e chiese successivamente l’annessione alla Federazione Russa. Stesso tipo di referendum si tenne anche nella regione del Donbass, a Lugansk e Donetsk, e venne vinto dai separatisti con il 79% dei voti. In seguito ai risultati, riconosciuti nel panorama internazionale soltanto dalla Russia, vennero proclamate le Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk.
Le successive elezioni ucraine videro, dunque, la non partecipazione della popolazione della Crimea e delle Repubbliche del Donbass.

Non riconoscendo l’Ucraina il risultato dei referendum e considerando il Donbass un proprio territorio si inasprirono le ostilità guidate dall’esercito regolare, dagli ultra-nazionalisti del battaglione Azov e dall’apparato militare di Pravij Sektor, il partito neonazista ucraino. Questi ultimi due soggetti amplificarono la loro propaganda in chiave anti-russa.

In un contesto di guerra aperta tra le due fazioni con diversi morti sia tra i gruppi militari che tra i civili, l’OSCE si fece carico di tentare una mediazione guidata dal rappresentante speciale del capo dell’organizzazione per l’Ucraina, Heidi Tagliavini, che il 5 settembre 2014 formò il cosiddetto “Gruppo trilaterale di contatto” radunando a Minsk (Bielorussia) i rappresentanti delle varie parti il vice presidente ucraino Leonid Kuchma, l’Ambasciatore russo Mikhail Zurabov, il capo della Repubblica Popolare di Donetsk, Alexander Zakharchenko e il capo della Repubblica Popolare di Lugansk, Igor Plotnitsky che firmarono un primo protocollo noto come Minsk I diviso in 12 punti:

  • 1. Assicurare l’immediata cessazione dell’utilizzo delle armi
  • 2. Assicurare il monitoraggio e la verifica dell’OSCE sul non utilizzo delle armi
  • 3. Implementare la decentralizzazione del potere anche attraverso con la quale l’Ucraina si impegna a rispettare “lo status temporaneo di autogoverno locale in alcune aree di Donetsk e della regione di Lugansk” (Legge sullo Status Speciale)
  • 4. Assicurare in maniera permanente la capacità di monitoraggio sullo stato dei confini tra Russia e Ucraina da parte dell’OSCE e la creazione di un’area di sicurezza nella regione di confine tra Russia e Ucraina
  • 5. Immediato rilascio degli ostaggi e delle persone detenute illegalmente
  • 6. Promulgazione di una legge che proibisca la prosecuzione degli eventi di guerra in alcune aree delle regioni ucraine di Donetsk e di Lugansk e punisca le persone eventualmente coinvolte in essi
  • 7. Condurre un dialogo nazionale inclusivo
  • 8. Adottare misure volte a migliorare la situazione umanitaria nel Donbass
  • 9. Garantire lo svolgimento di elezioni locali anticipate in conformità con la legge dell’Ucraina “Per quanto riguarda lo status temporaneo di autogoverno locale in alcune aree delle regioni di Donetsk e Lugansk” (Legge sullo status speciale)
  • 10. Rimuovere formazioni militari illegali, hardware militare, nonché militanti e mercenar dal territorio dell’Ucraina
  • 11. Adottare un programma per il rilancio economico del Donbass e la ripresa dell’attività economica nella regione
  • 12. Fornire garanzie di sicurezza personale per i partecipanti alle consultazioni

A questo protocollo seguì poi un memorandum, firmato il 19 settembre 2014 dallo stesso gruppo trilaterale di contatto, che doveva essere utile per dare piena attuazione al punto 1 del precedente protocollo. Il memorandum, diviso in 9 specifici punti, prevedeva infatti disposizioni militari:

  • 1. Il cessate il fuoco è da considerarsi reciproco
  • 2. Le suddivisioni e le formazioni militari delle parti devono fermarsi nella loro posizione a partire dal 19 settembre
  • 3. È fatto divieto utilizzare tutti i tipi di armi e qualsiasi forma di azione offensiva
  • 4. Entro 24 ore dall’approvazione di questo memorandum, tutte le armi letali di calibro superiore a 100 millimetri devono essere spostate indietro dalla posizione attuale di almeno 15 chilometri (ad eccezione di quelle indicate di seguito), comprese le aree residenziali, ciò consentirà di creare una zona di divieto dell’uso delle armi di una lunghezza non inferiore ai 30 chilometri (zona di sicurezza). Allo stesso tempo, i sistemi di artiglieria di calibro superiore a 100 millimetri devono essere spostati indietro dalla loro attuale posizione per la lunghezza della loro portata massima, in particolare: cannoni da 100 mm MT12 – di 9 chilometri; mortai da 120 mm – di 8 chilometri; Obici da 122 mm D30 – di 16 chilometri; 152 mm 2C5 Giatsint-C (2C3 Acacia, 2C19 Mcta-C, 2A65 Mcta-B) – di 33 chilometri; Multiple Rocket Launch System (MRLS) 9K51 Grad – di 21 chilometri, 9K57 Uragan – di 36 chilometri;  9K58 Smerch – di 70 chilometri; MRLS Tornado-G – di 40 chilometri; MRLS Tornado U – di 70 chilometri; MRLS Tornado-C – di 120 chilometri;  sistemi missilistici tattici – di 120 chilometri
  • 5.  Sarà introdotto un divieto sul dispiegamento di armi pesanti e attrezzature militari nel distretto limitato dalle città di Komsomolske, Kumacheve, Novoazovsk, Sakhanka, con monitoraggio da parte dell’OSCE
  • 6. Sarà introdotto un divieto di installazione di nuove mine e barriere esplosive entro i limiti della zona di sicurezza. Esiste l’obbligo di smantellare le mine e le barriere esplosive precedentemente installate nella zona di sicurezza
  • 7.  Un divieto, dal momento dell’approvazione di questo memorandum, deve essere introdotto sui voli dell’aviazione militare e sui droni stranieri, ad eccezione dei droni utilizzati dalla missione di monitoraggio dell’OSCE, lungo la linea della zona di sicurezza di 30 chilometri di lunghezza.
  • 8. La missione di monitoraggio dell’OSCE, composta da osservatori dell’organizzazione, deve essere dispiegata nella zona del cessate il fuoco entro 24 ore dal momento dell’approvazione del presente memorandum. La suddetta zona dovrebbe essere suddivisa in settori, il cui numero e i cui limiti dovranno essere concordati nel corso della preparazione della missione di monitoraggio dell’OSCE
  • 9.  Tutte le formazioni militarizzate straniere, le attrezzature militari, i militanti e i mercenari devono lasciare il territorio dell’Ucraina sotto il controllo dell’OSCE
da sinistra: Alexander Lukashenko (Bielorussia), Vladimir Putin (Russia), Angela Merkel (Germania), Francoise Hollande (Francia), Petro Poroshenko (Ucraina)

Anche dopo la firma del memorandum, però, gli scontri tra le milizie separatiste e l’esercito ucraino sostenuto dai battaglioni nazionalisti non si sono placati, anzi, i momenti di tensione sono stati altissimi, soprattutto vi furono diverse battaglie al Sergey Prokofiev International Airport, l’aeroporto di Donetsk, considerato un punto strategico da entrambe le fazioni. In realtà l’aeroporto, colpito da svariati bombardamenti, era diventato già completamente inservibile, trasformando la battaglia per la conquista di un punto strategico nella battaglia di conquista di un punto simbolico, in quanto infrastruttura del governo di Kiev, e la sua conquista avrebbe incrementato il morale della parte vincitrice. L’aeroporto fu conquistato prima dai separatisti e poi ripreso dall’esercito ucraino che si ritirò definitivamente nel gennaio 2015. Infine, i separatisti sfondarono la linea del fronte conquistando la regione di Debaltseve. Proprio quest’ultima battaglia portò le parti a risedersi attorno al tavolo di Minsk, dove l’11 febbraio 2015 venne siglato un nuovo protocollo, il Minsk II, rimasto in vigore finora:

  • 1. Assicurare un cessate il fuoco bilaterale immediato dal 15 febbraio 2015
  • 2. Ritiro di tutti gli armamenti pesanti allo scopo di creare una zona di sicurezza tra entrambe le parti, di 50 km per artiglierie (di calibro superiore a 100 mm), di 70 km per sistema lanciarazzi multipli e di 140 km per versioni di questi ultimi a lunga gittata (9A53 Tornado, BM-27 Uragan e BM-30 Smerch) e per sistemi missilistici tattici OTR-21 Točka. In tale processo è prevista la collaborazione dell’OSCE con l’assistenza del Gruppo di Contatto Trilaterale sull’Ucraina
  • 3. Consentire all’OSCE l’effettiva osservazione e la verifica del regime del cessate il fuoco e del ritiro degli armamenti pesanti
  • 4. Il primo giorno dopo il ritiro, iniziare la discussione sulle modalità di conduzione delle elezioni locali
  • 5. Prevedere con legge la grazia e l’amnistia e la proibizione di inchieste penali e condanne per coloro coinvolti negli eventi avvenuti nelle aree autonome delle regioni di Donetsk e Lugansk
  • 6. Effettuare la liberazione e lo scambio di tutti i prigionieri e di coloro che sono stati illegalmente arrestati
  • 7. Garantire l’accesso sicuro, la consegna, lo stoccaggio e la distribuzione di aiuti umanitari
  • 8. Stabilire le modalità per il pieno ripristino delle relazioni socio-economiche, inclusi inter alia il pagamento di sussidi e pensioni
  • 9. Ripristino del pieno controllo da parte ucraina del confine di Stato lungo tutta la zona di conflitto che deve aversi dal primo giorno dalla conduzione delle elezioni locali
  • 10. Ritiro di tutte le formazioni armate straniere, inclusi i mercenari, e dei veicoli militari. Disarmo di tutti i gruppi illegali
  • 11. Effettuare la riforma costituzionale in Ucraina attraverso l’entrata in vigore, entro la fine del 2015, della nuova costituzione che preveda come elemento cardine la decentralizzazione e prevedere una legislazione permanente sullo status speciale delle aree autonome delle regioni di Donetsk e Lugansk che includa, inter alia, la non punibilità e la non imputabilità dei soggetti coinvolti negli eventi avvenuti nelle citate aree, il diritto all’autodeterminazione linguistica, la partecipazione dei locali organi di autogoverno nella nomina dei Capi delle procure e dei Presidenti dei tribunali delle citate aree autonome
  • 12. Discutere e concordare le questioni relative alle elezioni locali con i rappresentanti delle aree autonome delle regioni di Donetsk e Lugansk nell’ambito del Gruppo di contatto trilaterale in base a quanto previsto dalla legge ucraina sulle modalità dell’autogoverno locale nelle aree autonome delle regioni di Donetsk e Lugansk. Le elezioni saranno condotte con l’osservanza degli standard OSCE e l’osservazione dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’OSCE
  • 13. Intensificare l’attività del Gruppo di contatto trilaterale anche attraverso la creazione di gruppi di lavoro per l’attuazione dei vari aspetti degli accordi di Minsk

Anche questo protocollo venne firmato dallo stesso Gruppo di contatto trilaterale, ma a distanza di 7 anni l’unico punto che si è concretizzato è stato uno scambio di prigionieri avvenuto nel 2019.

Sia il governo di Kiev, sia i governi delle repubbliche separatiste hanno accusato durante tutto questo tempo gli avversari di aver violato il cessate il fuoco oltre centinaia di volte. Non si è poi mai trovato un accordo sul punto che prevedeva elezioni riconosciute dal governo ucraino a Donetsk e a Lugansk e una delle ultime leggi firmate da Poroshenko prima della fine del suo mandato ha messo in difficoltà le minoranze linguistiche, in aperto contrasto con il protocollo di Minsk II.

In questi 8 anni di guerra sono morte oltre 14mila persone, delle quali oltre 3mila civili (oltre 7mila i civili feriti), la grande maggioranza nei territori delle repubbliche separatiste.

La guerra nella quale siamo entrati in questi giorni non è altro che una fase ulteriore della guerra che va avanti dal 2014 in Donbass. Gli sforzi diplomatici tra le due fazioni sono stati vari, ma non hanno mai avuto un reale seguito concreto e questo è uno dei motivi (e anche dei pretesti) che ha portato all’ingresso della Russia in una guerra giustificata proprio con la difesa delle popolazioni delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Capire cosa prevedevano questi accordi e perché siano falliti è una delle chiavi per avere un po’ più chiara la situazione che si è venuta a creare.

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